Offerta

Offerta

1967
acquarelli cm 45x50

E' il primo quadro realizzato da Giorgio Dalcanto nel 1967 firmato "Dal Canto" per esteso.
Il giovane porge l'offerta accompagnato dalla persona anziana che si appoggia. Questo quadro è l'inizio di una storia che l'artista porterà avanti nel tempo.
 
Scomposizione

Scomposizione

1977
Olio su tela cm. 70 x 70

Il manichino è rotto in varie parti che si trovano a terra in posizioni scomposte. Solo la testa del manichino si trova esposta sul tavolo. Tutto intorno un paesaggio anonimo dove tutto è vietato e dove gli alberi con foglie e senza stanno a significare un principio ed una fine.
 
Malinconia

Malinconia

1977
China ed acquarello cm. 50 x 70

Malinconia.
 
Primi manichini

Primi manichini

1978
Olio su tela cm. 60 x 80

L'uomo comune nella nuvola constata l'invasione dei manichini "anonimi". I cappelli sono a terra poiché i manichini non hanno testa. Si sta diventando automi. Ognuno si serve di qualcosa (ombrello, gabbia, ecc.)
 
L'indifferenza

L'indifferenza

1979
Olio su tela cm. 70 x 80

Il Leone rappresenta la vita "naturale" ma è stato messo in gabbia da questo mondo artificiale in cui viviamo. L'elegante personaggio, di spalle che fuma, rappresenta l'indifferenza.
 
Luogo di uguaglianza

Luogo di uguaglianza

1993
olio su tela cm 50x35

In questo luogo tutti siamo uguali, ci può essere uno spazio più grande o più piccolo ma tutti fanno la stessa cosa.
Anche le differenziazioni sono minime in quanto il rappresentate del potere di chi legge il libro contro chi non ce l'ha che legge il giornale.
Il luogo è veramente brutto e la prospettiva lo rende ancora più tetro.
 
Spiagge moderne

Spiagge moderne

1994
olio su tela cm 50x20

Oggi le spiagge sono tutte affollate per lo più da donne tutte uguali grasse e con costumi alla moda.
Sulla sdraia ci sta il marito, che esercita il potere, ma è lontano con la mente ai suoi affari che espleta per mezzo del telefonino.
Per tutte le coppie è la stessa cosa indicando un conformismo generale.
 
Cultura

Cultura

1994
olio su tela cm 50x70

La radio in qualità di media controllato dal potere fa assopire tutti ma nella dura lotta alla cultura, rappresentata dai libri ed immagini con silouette del tronco con bombetta del potere. Qualcuno si arrabatta e da la scalata
 
Palestrati

Palestrati

1994
olio su tela cm 50x70

Tutti oggi desiderano andare in palestra e tutti si sentono atleti.
La goffaggine che emerge dalle persone che eseguono gli esercizi è comunque controllata dal potere che condivide e si compiace che la gente impieghi tempo con soddisfazione negli esercizi atletici e non sfoghi la sua rabbia in altro modo.
 
Attrazione fatale

Attrazione fatale

1994
olio su tela cm 100x70

Le donne con la borsetta in generale costituiscono per tutti un'attrazione e quindi c'è chi si attacca alla borsa i pesci alla gonna e comunque le donne di un certo tipo stanno in alto, sopra la città dominata dal potere impersonato dall' uomo con la bombetta al centro della piazza.
 
Partita a scacchi

Partita a scacchi

1994
olio su tela cm 120x80

L a partita della vita è iniziata. Ognuno ha preso il proprio ruolo e si nota subito che le Regine contano più del re in quanto sono più alte e la regina sullo sfondo ha la sedia del potere più alta di quella del re.
Nella battaglia c'è chi combatte al centro e chi se la svigna nascondendosi dietro la torre.
C'è chi perisce e chi, approfittando del proprio ruolo, commette una scorrettezza palpando il sedere della regina messa di spalle; tutto però non va benissimo poiché l'alfiere non ha considerato l' imprevisto che il cane sta facendo pipì sulla sua gamba.
La scena si svolge con uno sfondo della campagna toscana.
 
Diomelli story

Diomelli story

1994
olio su tela cm 150x100

Questo fu un quadro commissionato da Diomelli al Dal Canto pregandolo di interpretare la sua storia di Pontaderese.
L'inizio sul ponte dell' Era con bici, maglione povero ma con tante idee (palloncini legati alla bici).
Poi suona la chitarra ai piedi del Palazzo Pretorio di Pontedera, fa il fotografo di matrimoni ed incontra persone che contano (prete grasso) e che contano meno (prete magro, più piccolo) poi l'ascesa verso il mondo dei computer (che taglia i cervelli alla gente) che attrae il potere (persone con bombetta) alle quali l'anarchico volante fa una bella sviolinata.
 
Il palazzo

Il palazzo

1995
olio su tela cm 70x100

La città moderna è piena di palazzi come questo che hanno le antenne sul tetto, comignoli inquinanti che emettono fumo nero e spaventano gli uccelli.
Il palazzo ha solide basi rappresentate dalle banche ed un robusto portone e coccodrilli, per difendere gli inquilini da intrusi, chiuso rigorosamente dall'esterno con un lucchetto quasi ad imprigionare chi sta dentro. Anche il guardiano veglia, col fucile nascosto dietro la schiena, la riservatezza degli inquilini.
Questi inquilini sono di tante specie e più che altro non legano fra loro e talvolta nemmeno con la persona che abita lo stesso appartamento come la coppia, al terzo piano sulla sinistra, divisa da un muro. C' è chi va a caccia, chi va a pesca delle bistecche del piano di sotto, chi è un curioso ed ascolta il prossimo, chi stende i denari e chi presta i propri servigi (donna al primo piano sulla destra) in cambio di un po' di potere (la bombetta in testa).
 
Hotel Armonia

Hotel Armonia

1995
Acquarello, due opere cm 30x40
e 200 litografie


Queste due litografie furono eseguite nel novembre 1998 in occasione dell'inaugurazione della ristrutturazione dell' Albergo Armonia.
Si nota infatti l'albergo vecchio stile sulla destra con la fontana ed i pesci che svolazzano, gli uccelli in cielo ed il prete che si riposa tranquillamente davanti alla chiesa del Duomo di Pontedera.
L'inaugurazione invece porta caos sulla piazza interpretato come tante macchine che si sormontano a vicenda e con tutte le autorità invitate sul balcone principale. Ovviamente non siamo più nella condizione precedente.
 
La fiera di Pontedera

La fiera di Pontedera

1998
olio su tela cm 50x60

La Fiera di Pontedera è sempre stata localmente una fiera importante che attira molta gente che vuole cimentarsi anche in prove di forza.
Non ci sono allegorie in questo quadro (ed è abbastanza raro) poiché Giorgio Dal Canto ha voluto solo descrivere, attraverso i suoi occhi ed il suo pennello, uno squarcio della fiera.
 
Gli orsacchiotti

Gli orsacchiotti

1998
olio su tela

La Fiera di Pontedera rappresenta per le Signore un momento di sfoggio della propria persona curata nei minimi particolari ed evidenziata con l' abbigliamento.
Giorgio Dal Canto vede il sesso femminile in modo non attrattivo e quindi disegna donna con muscoli, carenze varie, ecc in modo da non renderla attraente.
Queste due signore, vestite alla moda ma decisamente ridicole poiché una è troppo grassa e l' altra è troppo magra, portano a spasso i figli che sono qui rappresentati come pupazzi di stoffa in quanto, a detta di Giorgio Dal Canto, le donne di oggi portano in giro il bambino non perché gli fa bene ma per mostrarlo al prossimo che si incontra per strada.
 
Tutti appesi

Tutti appesi

1998
olio su tela

Siamo tutti alla ricerca del latte materno, tutti cercano di succhiare attaccandosi alla mammella della donna che rappresenta il ns. paese.
Essa viene gonfiata dal potere il quale delega il mantenimento della status quo attraverso la comunicazione riverente e quindi c'è chi annaffia le antenne perché questa comunicazione rimanga fresca e vegeta.
C'è anche chi non arriva al potere e sta nell'angolo in alto a sinistra.
 
Le scale della vita

Le scale della vita

2003
olio su tela cm 35x50

La vita delle persone è fatta a scale.
Per chi ha potere (persone con vestito e bombetta) ci sono scale in discesa e quindi più facile e per chi non ha potere (persone con maglione) le scale sono tutte da salire.
C'è anche chi ha terminato di salire sulla sua scala ed ha raggiunto il cielo e quindi non deve più salire (o scendere) ma vola con i suoi mezzi.
 
La Vespa

La Vespa

2005
olio su tela cm 30x60

La vespa come mezzo comune di trasporto e libertà.
Da notare l'allegoria di quanto si ";allunga il collo" o "si tira la cinghia" in questo periodo.
 
Le tre grazie

Le tre grazie

2005
olio su tela cm 80x100

Una splendida visione in chiave satirica riguardo all'aspetto botticelliano delle tre donne che lanciano le colombe e inneggiano alla vacanza indossando il costume da bagno.
L'artista aveva realizzato questo quadro, a suo dire molto colorato, per posizionarlo sopra il suo letto nella sua casa al mare.
Il tema è l'eterna ossessione riguardo alla femminilità che viene grottescamente stravolta per mezzo di muscolatura tipica maschile peraltro delineata da brutte fattezze.
 
La gente allunga il collo

La gente allunga il collo

2005
olio su tela cm 50x35

In una situazione di ristrettezza, a causa dei problemi aziendali della Piaggio di Pontedera, la gente "allunga il collo", equivalente del detto "tirare la cinghia".
 
Epoca dell'Euro

Epoca dell'Euro

2005
olio su tela cm 30x40

L'avvento dell'Euro rappresenta un fatto importante da commemorare con l'emissione di un francobollo.
Gli effetti positivi dell' Euro però non si sono visti e quindi si raffigura il Potere che offre un gelato al popolo (il contentino).
 
Il Giro d'Italia a Pontedera

Il Giro d'Italia a Pontedera

2006
olio su tela cm 50x60

L' evento dell'anno si è concretizzato ed il giro è partito dalla piazza principale di Pontedera.
Notare i cartelli W Bartali e Coppi in quanto l'entusiasmo è sempre lo stesso di una volta.
 
La giostra

La giostra

2008
olio su tela cm 60x80

Le fatine ridotte ad allegoria di una giostra invasa da pinocchi che simboleggiano la piccola Italia.
 
Collage

Collage

2009
olio su tela cm 30x30

Collage composto da filtri di sigarette consumate con scritta autografa di Giorgio Dal Canto.
 
I guardoni

I guardoni

2009
olio su tela cm 70x80

Qui sono presenti i ns. vizi.
Ognuno di noi spia: l'Acaro, il Pinocchio e lo gnomo (in alto a destra) testimoniano i ns. scheletri nell'armadio.
Uomini di potere col sedere scoperto e con vizi particolari… e poi la donna nuda che si intravede dietro al castello, tutto evidenzia quello che che in noi c'è ma che non si vuol far vedere.
 
OPERE » UNA STORIA CONTRO

UN ATTACCO POETICO AL POTERE
Dino Carlesi

Una mostra di Giorgio Dal Canto si presenta sempre come una grande lezione: di socialità, di etica, di simpatia. Le sue tele diventano messaggi, anzi comunicazioni di significati in cui l'uomo è quasi sempre soccombente, obbediente ad un Potere che in ogni situazione tende a porlo in condizioni di perdente. I fatti si intrecciano, gli eventi conducono il Potere a prevalere sempre a favore di quel mondo che perfino il burattino Pinocchio cerca di smascherare in ogni pagina del libro: il Potere non lo hanno gli "ammassati", alcuni politici, quelli col "culo scoperto", quelli che non abitano al centro, quelli che frequentano il labirinto; il potere ce l'ha il pifferaio magico, il potere che "puzza" in ogni luogo e nello stesso modo. Non ha potere chi dorme, chi diviene animale, il poveraccio che annega nel piccolo bicchiere, colui che rimane appeso al proprio quadretto, coloro che attendono sempre, che si chiudono nei bricchi, coloro che si accontentano di un pesce, coloro che non arrivano al limite alto della cultura, coloro che vanno in palestra per sfogare le proprie rabbie; le donne, per esempio, che vanno a passeggio con la borsetta domenicale.
Ma Dal Canto va ad approfondire epoche e stagioni di un mondo ancora più antico, quando sul rame figure tolte dalla storia e dalla mitologia si collegavano anche allora alle situazioni umane. Cavalieri e paggi, mercanti, la morte possibile, l'angelo atteso, diventavano decorazioni e simboli, documenti di un'epoca e di una cultura vissuta nelle bettole e anche nei palazzi. Dal Canto continua la tradizione di queste storie rapportate al costume di oggi. Si rinnovano il "Re di denari" o la "Donna di cuori". Il "Fante di fiori" e il "Jolly" partono sull' "Occidente Express" per la loro avventura collocandosi nel gioco della vita e della morte, sempre vincenti o perdenti, aperti al rischio, alla tensione dell'amore e del costume.
Sono cambiati i tempi ma Dal Canto riesce a mantenere intatta la notizia - nell' epoca della comunicazione - rifacendosi ogni volta al suo ambiente di origine e cogliendo di ogni evento il significato più polemico. Ecco perché Dal Canto meriterebbe ben altra attenzione critica: egli, infatti, da vari decenni conduce serenamente una sua vita di artista realizzando opere di altissimo interesse sia sotto l'aspetto tecnico-pittorico sia sotto l'aspetto satirico-sociale. Dal Canto vive il suo tempo, un tempo che ama l'avventura, il rischio, l'abilità della scommessa. Dal Canto ha scelto solo i "giochi" su cui un giocatore si impegna per realizzare una "posta", un risultato concreto, distinguendo tra i giochi che dipendono esclusivamente dal "caso" (tombola o dadi) o quelli che dipendono dall'abilità del giocatore (biliardo, scopone, ecc.). E in questa sua rassegna di giochi ha forse voluto rappresentare una situazione di costume e anche di irrazionalità dilagante e, indirettamente, una crisi di speranza, anche perché non appare evidente se l'artista guardi a questi suoi personaggi con pietà o rancore o ironia. Oggi la società è così competitiva -economicamente, bellicisticamente, sportivamente - da aver ridotto a gioco drammatico perfino la vita singola e collettiva; perfino i mercati e i traffici del mondo divengono un grande gioco di mosse e contromosse, e perfino le guerre rispondono a strategie contrapposte nel gioco drammatico delle forze, delle scelte, delle sorprese. Nel suo piccolo mondo -sembra dirci l'artista- l'uomo della strada lancia ogni giorno i suoi dadi, tenta comunque un riscatto e azzarda un rischio, caricando i gesti di tutta la loro carica di emozione e di attesa.
Perché il giocatore -in questo caso- presuppone l'orgasmo dell'attesa per un evento che può o non può accadere: gettato il "dado" scatta l'attesa per un numero, del tutto casuale in questo caso non dissimile dall'attesa del giocatore di "bocce" che accompagna con l'occhio e il passo il percorso della sua palla appena lasciata cadere con abilità dalla sua mano. In questo brivido sta proprio la "malattia del gioco", quella capace di creare la dipendenza assoluta nell'incessante ritmo degli azzardi, dei rischi, delle sconfitte. Perché neppure la vittoria, possibile e attesa, è motivo determinante del giocare, ma è il giocare stesso, con le sue perverse regole accettate a priori dal giocatore con atto di sacra obbedienza, che trascina nell'incessante susseguirsi delle giocate e delle scommesse: infatti anche la sconfitta è - a suo modo- un incentivo a continuare, uno stimolo a rischiare di nuovo. Nel suo lavoro ferve da anni un forte bisogno di rivincita umana, un atteggiamento polemico verso un mondo colmo di contraddizioni e ingiustizie che all'inizio pareva rivolto più al piccolo intrigo della cronaca quotidiana per farsi poi sempre più rispondente ad una sua personale filosofia del vivere. Su questa "filosofia" potremmo fare qualche piccola riflessione: come dicevano gli antichi (Aristotele) e ha ripetuto Baudelaire, la natura appare spesso incompleta e imperfetta, al punto tale da spingere l'artista a dover intervenire per completarla: in tal "natura" va posto anche l'uomo con le sue cattiverie morali, con i suoi egoismi, col suo cinismo. La denunzia di tali comportamenti è sempre stata per Dal Canto un'esigenza fondamentale nel suo lavoro d'artista, espressa sempre senza volgarità e malevolenza, ma quasi con spirito di pietà e di rassegnazione. Davanti a noi sta sempre l'uomo, potente o misero, padrone o vittima, nell'uno e nell'altro caso meritevole sempre di un quasi impossibile perdono.
Intorno a Dal Canto ruota una folla di inermi cittadini che vivono le più imprevedibili situazioni, e l'artista sa cogliere un rapporto stretto tra le situazioni e i modi più curiosi per affrontarle: nascono così sempre "situazioni di vita" che non si concludono mai con "risposte" logiche e compensative, ma si bloccano al punto esatto del contrasto irrisolvibile: un uomo grida e l'altro tace, un uomo si illumina di potere e d'astuzia mentre l'altro -il meschino- subisce! E i ruoli potrebbero -tra l'altro- invertirsi in un attimo, in un gioco di scambi compiacenti e di apparenti e false supremazie: ne esce una figurazione così intensa di problematiche umane da suscitare ira e sdegno ma anche ilarità e compassione. Evidentemente l'ironia deve nascere già prima nella fase preparatoria mentale, cioè nella riflessione che l'artista dedica a priori alle faccende sacre del vivere umano. L'uomo è costantemente alle prese col suo ruolo di "coesistente" e i suoi destini si attuano in una società di uomini in genere costantemente tesi ai propri obiettivi: obiettivi che in genere tendono ad alimentarsi di solipsismo egoistico tipico di una società protesa al suo utopico benessere. In genere Dal Canto coglie proprio con l'occhio critico e inquietante dell'insoddisfatto il contrasto che si crea tra il potere e l'uomo comune, illuminando le situazioni alla luce delle comicità e, spesso, del sarcasmo. In ogni tempo - classico o romantico - la Critica ha voluto cogliere l'ironia nelle rappresentazioni artistiche in cui si raffigurasse un atteggiamento burlesco o denigratorio verso il contesto sociale dal quale quelle rappresentazioni prendevano vita. Tutto ciò implicava un giudizio generale -positivo o negativo- su quel contesto e anche valutazioni particolari che potevano presentarsi nelle varie situazioni. A Dal Canto è capitato di vivere in una delle più tipiche situazioni intricate nelle logiche dell'egoismo e della spregiudicatezza morale e lui ne ha approfittato largamente cogliendo la vessazione e l'imbroglio, la sottile violenza degli astuti e la brutale violenza dei volgari. L'artista ha inciso fogli grafi ci che sembrano voler proprio fotografare situazioni reali e contemporaneamente paradossali al punto di consentirci di parlare del suo lavoro artistico come di un acuto reportage di verità interna e di studiate attitudini al malvagio.
Ovviamente non si tratta di una ironia solamente letteraria o sottointesa, ma di satira vera e propria che penetra nelle situazioni narrate nei suoi racconti fino a mettere in evidenza - direttamente o attraverso metafore- il senso dello scherno, della beffa ed anche di un negativo giudizio critico sociale ed esistenziale. Infatti l'artista gioca bonariamente con l'uomo come con un giocattolo funzionale alle sue allusive finalità artistiche: il Potere crea continuamente nuovi "eroi", nuovi "santi" capaci di opprimere i sudditi in forme sempre nuove con la magia blasfema o con l'offesa quotidiana. I piedi sembrano conoscere un modo nuovo di calpestare e i sudditi un modo nuovo di ubbidire! Si adeguano, stanno al gioco crudele quasi felici, sorridono, alzano le dita, volgono appena il capo al malessere dilagante! Masse di uomini sofferenti, tutti pigiati tra loro, fino all'inverosimile, tagliano in due i corpi dei benpensanti dalle scarpe nuove, quasi per ricordare che loro esistono; talvolta il Potere sa offrire personalmente al povero una cucchiaiata di minestra mentre il paesaggio si fa ricco e grandioso per creare ambienti adatti ai nuovi predestinati, tutti in circolo a beatificare se stessi. I volti partecipano a questo trionfo dello sfruttamento assumendo forme animalesche e anatomicamente imperfette; spesso ossequiosi uomini a guinzaglio ritornano quadrupedi con le code o con i pantaloni abbassati per subire l'ultimo spregio. I significati di questa pittura riescono a far sorridere, ma stimolerebbero anche a distinguere errori e colpe, proprio quelle responsabilità che gli uomini evitano di assumere. Per fortuna avverrà che un cappello alato tenterà di salvare in cielo l'esistenza di tanta buona gente, mentre il Potere salirà in mongolfiera verso il proprio inferno.
Ma prima dovranno accadere molte cose: il potente giungerà alla propria scomposizione corporea dopo che tutti avranno tentato di parzialmente impossessarsene e Dal Canto riesce saggiamente a creare piazze piene di folla nello stesso momento in cui riesce a mostrarci una tipica contraddizione di questo "tempo di massa", cioè la dilagante solitudine dell'uomo contemporaneo chiuso nella propria disperazione. Nel ricordo di Baj, anche i suoi "generali" (meno fiabeschi) si piegano sotto il peso delle loro medaglie (quasi tutte a forma di croce!) e le candeline stanno lì a mantenere viva la memoria di chi è caduto. Ne nasce un quadro di aspra denuncia verso la violenza di questo nostro tempo, verso l'aggressività organizzata e guidata da eccellenti "teste d'uovo" educate all'ordine e all'imperio, al rumore delle bandiere e al narcisismo degli specchi che tradiscono l'ipocrisia nascosta. La "repubblica dorme" mentre l'uomo ascolta "sonatine" di donne fiorite o si nasconde nel quadratino del proprio egoismo per funzioni quasi sempre "poco nobili". Il campionario di deretani fa bella mostra di sé mentre i "telecomandati" si destreggiano tra fili e antenne della nuova cultura, tutti presi in un nuovo "gioco dell'oca" dove alle "poste" sono sempre chiamati a sorveglianza guardie giudici e preti. Si inchinano soffitte, cantine e cervelli e tutti sembrano attendere fini ingloriose, soffocati in valigie di cartone o telefonando alle banche per tramare qualche scandalo. L'evoluzione pare arrestarsi, figure e cose ondeggiano come giunchi al vento, quasi si partecipasse alla fine di una civiltà.
A questo punto il discorso dovrebbe spostarsi sull'aspetto artistico, sulla capacità eccezionale che il Dal Canto rivela di possedere nell'arte della descrizione sia sotto l'aspetto segnico che coloristico. La descrizione fatta rivela già la forza creativa di questo artista in quanto i contenuti sono sempre nuovi, legati alla contemporaneità e risolti pittoricamente e graficamente con estrema precisione e fantasia. Ogni elemento è colto nella sua esasperata deflagrazione narrativa in modo da poter deformare quanto basta la composizione per renderla funzionale allo spirito polemico che la suggerisce. La composizione corrisponde a precise collocazioni spaziali e i colori si smorzano o si accendono in rapporto alle sequenze volute. L'atmosfera poetica scatta nel momento in cui, superato il gioco enigmatico delle metafore, i singoli personaggi si pongono come davanti a se stessi, carichi della loro pena o della propria protervia. L'artista si modifica volta volta in relazione al messaggio che vuole lanciare, facendosi egli stesso personaggio primario in funzione di un "racconto" che è reale ed irreale insieme, ma sempre guardingo nei confronti di chi all'umanità guarda più con cupidigia che con amore.
Le vesti a strisce bianche e rosse mirano a collocare ogni essere dentro un suo penitenziario di delusioni e di angosce mentre l'abito dei borghesi rimane fedele al nero funerario, quale si conviene alla loro cattiva coscienza. Tutti si muovono in spazi urbani discutibili e rischiosi, con case arroccate e fuori misura, fitte insieme come le coscienze dei loro abitanti, ammucchiate e pavide. I colletti e i polsini bianchi si oppongono ai maglioni dei diseredati e qualche angelo o farfalla intervengono non tanto come elementi decorativi, ma come simboli di un cielo azzurro che un giorno dovrà pur sorgere per salvare il mondo. E tutto diviene in quell'attimo ribellione, attesa e inesorabile futura resurrezione al bene e alla vita della libertà.
Se l'arte deve interagire col mondo e proporsi anche come provocazione di fronte a situazioni eticamente allarmanti -dopo avere salvato la semplicità e l'eleganza del linguaggio del nostro artista- allora si può dire che l'elaborazione figurale delle vicende umane su cui Dal Canto insiste da quarant'anni è tale da sollecitare riflessioni e ripensamenti. Si tratta di un "racconto lungo" scritto con la caparbietà di uno che non vuole solo declamare gli eventi amari di una situazione esistenziale che tocca tutti ma che vuole parteciparvi in diretta, dando nome e cognome ai suoi vincitori e ai suoi vinti. Scrivevo trent'anni fa che Dal Canto voleva resuscitare a livello di memoria una stagione che toccava case strade e gente della sua città: ora l'inquietudine dei suoi personaggi investe categorie di altri mondi, di altre globali dimensioni, anche perché i tempi non sembrano avere mutato in meglio le situazioni: anzi! Il suo "teatro" ha cambiato solo nome e strade ma la poesia seguita benignamente a sfiorare con mano delicata queste cronache reali e perverse. Se provocazione doveva essere, la provocazione dell'artista ha raggiunto il bersaglio: si può dire che l'artista dipinge una "crisi" in atto, il disagio dell'arroganza ad ogni costo e l'avvento di una malinconia che non è più singola o vagamente crepuscolare ma capace di investire e interpretare l'esistenza di tutti. Dal Canto sa di operare in un mondo dove prevale l'ingordigia e il gioco della rapina pubblica e privata; a questa situazione si contrappongono solo uomini che sembrano aver perduto la speranza di poter modificare in meglio il mondo. Ma, a ben guardare, questi uomini sono portatori di una tale angoscia da costringere all'indignazione anche il più quieto dei benpensanti.
A questa indignazione le forme si adeguano dilatandosi in forme ironiche e bislacche, quasi che i sentimenti seguissero strani impulsi d'ira o contrapposte desolazioni sentimentali. Le terapie non servono a sanare situazioni morali di questo tipo. Solo l'artista può trarre vantaggi etici da queste soluzioni artistiche, capaci di farsi almeno liberatori per ritrovare equilibri smarriti e far diventare l'arte anche gioia e gusto di vivere.
L'artista Dal Canto rivela le sue possibilità interpretative tutte legittimate dal gusto estetico, come quando ci presenta il ciclo su "Pinocchio". Infatti l'ultimo impegno dell'artista è legato ai ventitré dipinti inerenti all'opera collodiana: Pinocchio.
Una straziante sequenza che se venisse esaminata nei particolari richiederebbe una incredibile mole di studio e di tempo. Alcuni elementi del Potere controllano dall'alto e dal basso un elegante condominio (con tende, cani, alberi, chiese in bilico) mentre il "senza potere" si va smarrendo nell'armadio assolato, la folla (guardata a vista fra forconi o paradisi) s'arranca a piramide come intruppata tra potere e non potere in un estremo libertinaggio di posture, mentre le autorità religiose con i galloni d'oro inchiavardano e uccidono il povero Cristo. Mentre i pinocchi-arlecchini sovvertono e squilibrano la vera città altri stanno propagando i giochetti del quartierino invano transitato dai piccoli cortei, altri preparano le formule perché il Potere possa meglio soddisfare le indecenti formalità della fregatura padronale. Quando giunge Pinocchio la folla tende rapidamente a studiare la testa del burattino, a farsi spettatrice e teatrante armata solo dai guantoni e a fuggire a difesa della propria casetta, mentre altri difendono bene diverse e luminose dimore e il carabiniere -il potere reale- è beffeggiato dal contropotere di Pinocchio che vuole mancare di rispetto: purtroppo il Pinocchio di Dal Canto viene acciuffato e ricondotto da Geppetto. Nudi e con musi lunghi sono tutti lì col Potere che li domina.
E così quasi tutti diventano Pinocchi al momento in cui -come al solito- il potere consente a tutti danze e dolci, addirittura lasciando la libertà nelle spire dei gaudenti, ormai tutti conquistati dal falso Potere concesso: i Pinocchi pescano, fanno sport, concludono affari, dirigono centrali televisive, amano belle donne e zecchini d'oro, obbligano al silenzio, intercettano ogni trasmissione, si trasferiscono sui video, formano le ronde.
La rivolta di Pinocchio è la sua ribellione alla tranquilla romanticità di un secolo onesto e patriottardo quale l'800, in cui il Potere si costituisce quale potere che crea se stesso per dirigere il Paese e il mondo, ma che si costruisce anche strade sempre in discesa, entra nel Duomo col "di dietro" scoperto, nell'"Arno inquinato" il Potere inabissa chiese campanili e città; il pifferaio seguita la magia della comunicazione controllata. Tutto vola, tutti i poteri si intersecano mentre il "contropotere" perdente si accascia con le sue maglie a righe, allineato in venerazione del Capo; il Potere innalza i suoi piccoli miti (la scarpa, il pesce, i calzini), tenta di impossessarsi della pseudo-cultura e tenta la critica ridicola sul mondo dei "palestrati" di turno, esalta l'uomo con la bombetta per empirne ancora i salotti della città, si insiste sui computer che dividono cittadini e cervelli oltre a penetrare nelle fibre come simboli e miti; dividono i portoni delle banche, si misurano le forze nella piazza della fiera con l'albergo vecchio che lascia posto al nuovo e le donne -belle e brutte- che portano in giro la propria carne. Tutti pensano al Potere come una madre benigna e ciò incanta una folla sterminata, e si inaugurano monumenti. Nei labirinti si nascondono le cose immonde, le "Tre Grazie" botticelliane risorgono travolte da un fisico dipinto senza amore, mentre i politici confrontano tra loro i brutti volti; nel Vaticano c'è chi sale e chi scende anche se la cupola di San Pietro si chiude nel proprio sottile potere, ma la miseria rimane, i colli si allungano e si tirano le cinghie. Cambia la storia, l'euro si conclude nel gelato off erto ai poveri mentre chi non ha potere trasporta sulle spalle l'uomo con cravatta e bombetta. Trionfa il malcostume del calcio con la folla invasa da un tifo interessato: tutto col Potere che travalica da ogni spazio perché a tutti il naso lungo documenta la storia di vicende non vere, dirette da un Potere che non consente ad alcuno di intervenire, mentre intorno si cambiano idee, volti, atteggiamenti con trombe, antenne, maschere e infinite altre cose che, come i personaggi di "Miracolo a Milano" volano sulle scope verso una possibile felicità, anche se il vento seguita ad essere contrario.
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